Da alcune idee di Mauro Corona e Massimo Cacciari.
La montagna ci insegna la fatica, perché la montagna è in salita, come la nostra vita. La montagna ci consuma energie, ma quando arriviamo in un rifugio o semplicemente ci sediamo su una roccia o ci sdraiamo su di un prato, nella fatica apprezziamo l’acqua e il pane, ma soprattutto l’amicizia.
La montagna è una scuola: quando hai camminato otto ore per giungere alla meta, quanto arrivi su un cima e poi torni giù, quella è scuola. Perché ti insegna che da una vetta non vai in nessun posto, puoi solo scendere, come nella vita. Ed è difficile, perché sei stanco, il percorso è ostico, il tempo è mutevole e spesso l’ora è tarda. Perché ti insegna a non fermarti, a non arrenderti nei sentieri che la vita ti chiede di percorrere.
Nella nostra quotidianità fatichiamo in modi diversi, alienanti, ma la fatica della montagna è un’altra cosa: è scelta filosofica, libero arbitrio, esercizio di libertà. La libera scelta di camminare in territori difficoltosi e in ambienti marginali che non interessano ai più, in cui si è esposti all'imprevisto ma nei quali si fanno esperienze significative, importanti per la vita di tutti i giorni.
La montagna mette a nudo la naturalità delle cose, ci costringe ad essere in rapporto con le cose autentiche, con la verità delle cose fisiche. Ed è qui che la spiritualità si salda alla fisicità, che la spiritualità moltiplica la percezione di tutti i sensi, in un autentico godimento olistico dell'ambiente naturale.
Sensation Par les soirs bleus d’été, j’irai dans les sentiers, picoté par les blés, fouler l’herbe menue: rêveur, j’en sentirai la fraîcheur à mes pieds. Je laisserai le vent baigner ma tête nue. Je ne parlerai pas, je ne penserai rien: mais l’amour infini me montera dans l’âme, et j’irai loin, bien loin, comme un bohémien, par la Nature, heureux comme avec une femme. Mars 1870 Arthur Rimbaud |
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